Il mito delle organizzazioni: un viaggio dell’eroe che ispira e unisce
#OltreTara, la piccola biblioteca di temi ha inizio!

L’iceberg: dove nasce il conflitto

Quando guardiamo a un conflitto siamo abituati in realtà a vedere o percepire gli effetti visibili: tensione, malessere, lamentele etc.

Ma un conflitto spesso nasce in una sfera della realtà che sta sotto la superficie visibile.

Quando esplode un conflitto in un team chiediamoci in quale livello della realtà è nato. Secondo il Processwork, o Arte del Processo, tre sono i livelli della realtà:

  • Realtà del consenso: la parte visibile e tangibile della nostra esperienza.
  • Terra del sogno: lo spazio invisibile e sotterraneo dove si alimentano le emozioni e l’esperienza soggettiva.
  • Essenza: il luogo del senso, del proposito e della pienezza.

Spesso un problema si presenta nella realtà del consenso ma è solo la punta dell’iceberg.

Ciò che emerge dall’acqua è il sintomo di una tensione presente a un livello più profondo. Fino a quando non ci immergiamo non riusciremo a comprendere quale messaggio porta quel conflitto.

Se il conflitto si manifesta all’interno di una riunione ogni volta che dobbiamo prendere una decisione molto spesso il motivo va cercato nella sfera della visione e dei valori dell’organizzazione. Forse è sintomo di poca coerenza tra i valori dichiarati e quelli agiti, o di poca aderenza da parte del team alla visione dell’organizzazione.

Mi viene in mente il boicottaggio sottile che a volte si percepisce in un team: persone che arrivano sistematicamente tardi alle riunioni, gossip, lamentele, disimpegno…..

Forse il messaggio è che le persone non si sentono abbastanza viste e valorizzate?

La porta:cosa accade quando non affrontiamo un conflitto

Quando in un team un conflitto non viene affrontato, viene messo a tacere o sistemato sotto il tappeto quello non sparisce.

Il conflitto è come qualcuno che bussa alla porta. Prima lo fa timidamente nella speranza che qualcuno lo faccia entrare e ascolti quello che ha da dire. Se nessuno arriva ci riprova, questa volta con più energia. Se nessuno arriva di nuovo il conflitto busserà con ancora più forza fino a quando molto probabilmente butterà giù la porta.

Il conflitto assomiglia molto all’errore da questo punto di vista. Nessuno ama sbagliare. Culturalmente è qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi ma senza l’errore non c’è evoluzione. Nella storia della scienza le più grandi scoperte sono nate da uno sbaglio.

Quando un sistema rimane a lungo nel conflitto, è una grande fonte di stress ed è uno spreco di energia, tempo e creatività: al contrario un clima di sicurezza crea engagement e motivazione. Per costruire spazi sicuri dobbiamo, piano piano, introdurre delle pratiche che alimentano fiducia, ascolto e coesione.

Una pratica molto utile è quella di provare a scrivere delle procedure per affrontarlo. Dotarsi di piccoli passi che possono aiutare a dipanare una matassa aggrovigliata fatta di emozioni, sensazioni e punti di vista differenti.

Nelle organizzazioni Teal, descritte da Laloux nel libro “Reinventare le organizzazioni”, esistono molti esempi di procedure interne per la risoluzioni dei conflitti. Il presupposto per la maggior parte di queste organizzazioni è che il conflitto è inevitabile ma i comportamenti conflittuali non lo sono. E’ responsabilità di tutti e tutte impegnarsi per costruire un ambiente sicuro dove possiamo affrontare i conflitti con cura e attenzione.

Dentro Tara abbiamo queste piccole regole:

1- portare fuori un conflitto prima che sia troppo grande

2- farlo con cura e compassione cercando di non accusare ma di spiegare il proprio bisogno

3- se il conflitto è tra due persone provare a risolverlo in privato

4- se non si riesce chiedere aiuto al gruppo

Quando un gruppo riesce a lavorare su un conflitto senza sentirsi in pericolo e senza dover chiedere aiuto ad un capo che dirimi le tensioni quel gruppo impara a crescere, a prendere consapevolezza delle sue potenzialità e anche di ciò che deve migliorare. Il team, nell’approccio al conflitto diventa più responsabile delle proprie azioni e anche delle proprie emozioni.

Il fuoco: il messaggio nascosto dietro un conflitto 

La metafora più immediata.

Quando due persone stanno discutendo animatamente si percepisce un cambio di livello nell’energia: la tensione e l’elettricità nell’aria aumentano.

Il conflitto spesso è un fuoco che divampa quando meno te lo aspetti.

E come quel fuoco brucia. Per questo ci fa paura e tendiamo a non portarlo fuori. Allo stesso tempo come quel fuoco produce energia. Se direzionata quell’energia può essere motore di cambiamento individuale e collettivo.

Il fuoco, nel processo alchemico, anziché distruggere trasforma gli elementi in oro. Dobbiamo imparare a vedere i conflitti come un’opportunità per crescere, l’oro delle nostre relazioni.

Arnold Mindell, fondatore del Processwork, nel suo libro “Essere nel fuoco” afferma che i conflitti all’interno di un gruppo sono voci che vogliono emergere. Messaggi importanti che, se ascoltati, producono un miglioramento, un cambio.

Così come il sintomo corporeo è spesso un segnale che ci indica un malessere dell’anima allo stesso modo il conflitto ci indica un malessere del sistema a cui dare attenzione, pena l’acutizzarsi delle tensioni.

Arrivare sistematicamente tardi a una riunione non è solo un’azione antipatica e conflittuale ma, ad un livello più profondo, potrebbe indicare che i nostri processi hanno bisogno di maggior fluidità. Il ritardo quindi si trasforma da qualcosa che devo semplicemente sanzionare a uno specchio di una rigidità nei processi.

Spesso il conflitto nasce quando la diversità si incontra. Quando questo incontro funziona emerge l’intelligenza collettiva e quando funziona meno si determinano tensioni e incomprensioni!

In quest’ottica i conflitti sono un’occasione per far dialogare punti di vista diversi e far emergere nuove possibilità: spesso li consideriamo come una fase da evitare, ma se affrontati nel modo giusto possono diventare un’opportunità creativa, uno spazio per integrare la diversità e aumentare la resilienza del team.

Il conflitto ha bisogno di dialogo. Nasconderlo sotto il tappeto significa sprecare un’occasione.

Dobbiamo piano piano uscire dal paradigma giusto o sbagliato per avvicinarci a ciò che la Democrazia Profonda chiama “ascolto di tutte le voci”, uno spazio dove possono emergere le diversità e dove possiamo esplorare la terza via tra due visioni contrapposte .

Come si fa ad ascoltare il messaggio nascosto in un conflitto?

Imparando a fare principalmente due cose:

  • cercare i bisogni dietro le posizioni: i bisogni sono universali, le posizioni personali
  • spersonalizzare il conflitto: dividere la persona dal ruolo e dal messaggio che porta evitando così attacchi personali e focalizzandoci sul contenuto

Stare nel fuoco, con coraggio forza e amore, trasforma.

Niente come una sfida, un conflitto o un momento di crisi ha la capacità di trasformarci e di portarci a vedere le cose in maniera diversa

In sintesi possiamo dire che il conflitto è un’opportunità se riusciamo a leggere il messaggio che ci porta ed è trasformativo perché:

  • ci aiuta a migliorare i nostri processi,
  • ci aiuta a essere più aderenti alle nostre visioni
  • ci aiuta a dare spazio alla creatività e al valore delle persone che lavorano con noi

Alla fine di questo lungo articolo vorrei invitarvi a dare uno sguardo a TRAS-FORMAZIONI, il laboratorio di strumenti e pratiche per agire il cambiamento che abbiamo immaginato con Tara.

Il prossimo appuntamento avrà come focus per l’appunto il conflitto!

  • 25 Marzo: SOS Conflitto, come migliorare le nostre relazioni. Strumenti e pratiche per trasformare il conflitto in un’opportunità di evoluzione

Ilaria Magagna

Cofounder e Facilitatrice TARA

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Come facilitare le riunioni online: prendersi (comunque) cura di gruppi e comunità
Il potere del Feedback

Ed ecco il primo articolo nato dalla collaborazione tra TARA e Piano BIS!

Che cosa ha insegnato questo periodo di quarantena a noi imprenditrici ed imprenditori?

I nostri modelli di business non sono eterni e siamo vulnerabili. Più di quanto avremmo pensato di essere.

Il futuro si presenta incerto. La vera “ripresa” appare ancora lontana e dopo due mesi come quelli appena passati viene da chiedersi: davvero i miei clienti (o potenziali clienti) hanno ancora bisogno di quello che offrivo loro PRIMA della pandemia? I miei prodotti/servizi rappresentano ancora beni ad alto valore aggiunto?

L’incertezza porta ad una contrazione dei consumi. Chi acquista sceglie e sceglierà con maggiore prudenza in cosa spendere o investire i suoi soldi.

E’ come una nuova fase di start-up, per tutte le imprese.

Quindi da dove ri-partire oggi?

Ecco il nostro punto di vista, nel blog delle nostre colleghe!

https://www.pianobis.it/le-due-p-del-futuro-pianificare-partecipare/

 

 

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Non sapete come trascorrere un po’ di tempo il fine settimana? I consigli da OltreTara
Linguaggio inclusivo: breve rassegna di contenuti interessanti

Ho conosciuto Matteo Piffer del Panificio Moderno grazie a Trentino Social Tank, incubatore di idee, con cui già aveva avviato un percorso di consulenza organizzativa.

Matteo era partito da una intuizione: qualcosa non andava nelle riunioni. Il tema caldo si trovava là. Così ci siamo incontratə.

“Spesso riflettiamo sul commitment to change come spinta in un processo di trasformazione”

La prima cosa che mi ha colpito di Matteo è stata la consapevolezza con cui si è presentato: spesso con TARA riflettiamo sul commitment to change come spinta  fondamentale in un processo di trasformazione. Organizzazioni che sentono un bisogno di cambiare ma ancora non hanno inquadrato la direzione.

Matteo l’aveva inquadrata eccome, con una grande e lungimirante lucidità.

“Le riunioni erano il cuore di un passaggio trasformativo: uno spazio di crescita di competenze e un laboratorio di allenamento alla creatività”

Le riunioni per lui erano il cuore di un passaggio trasformativo: una porta per lavorare su una maggior responsabilizzazione e leadership del proprio team, uno spazio di crescita di competenze e un laboratorio di allenamento alla creatività di gruppo e all’intelligenza collettiva.

“Il Panificio Moderno era nella fase delicata e ricca di possibilità del passaggio generazionale”

Quando mi ha raccontato la loro storia (dico loro perché Matteo ha un fratello con cui condivide, dentro l’azienda, molti dei passaggi che qui raccontiamo) mi ha colpita la spinta all’innovazione di Panificio Moderno: un panificio nato dai sogni e dal lavoro di mamma Anna e papà Paolo e in quella fase delicata eppure ricca di possibilità del passaggio generazionale ai due figli, Matteo e Ivan.

“L’innovazione la fanno le persone. Da qui è arrivato il bisogno di un cambiamento dei processi organizzativi: governance, riunioni, modelli di leadership”

L’innovazione è partita dalla cosa più immediata, il prodotto, con l’introduzione di nuove farine e una “maggiore coscienza agricola”, per dirla con le parole di Matteo. Ma poi, piano piano, si è fatta strada una nuova conspaevolezza: l’innovazione la fanno le persone. Da qui è arrivato il bisogno di un cambiamento dei processi organizzativi: governance, riunioni, modelli di leadership.

Insieme non abbiamo progettato solo le loro riunioni ma abbiamo gettato le basi per una trasformazione imprenditoriale dentro il Panificio.

Il bisogno di Matteo e del suo team era di rendere le riunioni più produttive e più agili e anche degli spazi di apprendimento e crescita: per questo abbiamo lavorato intensamente su due livelli, quello operativo e quello relazionale.

Panificio Moderno si era accorto di avere un sintomo, e ha deciso di non ignorarlo. Dice Matteo: “Finivamo le riunioni con una sensazione di affaticamento e insoddisfazione e cominciavamo ad avvertire sempre più un senso di sfiducia nelle riunioni”. Al punto di  arrivare a non farle più.

“Abbiamo ri-progettato il flusso delle riunioni. Avevano bisogno di calendarizzare differenti riunioni a seconda degli obiettivi”

E così con Matteo e il team abbiamo ri- progettato il flusso delle riunioni: le loro riunioni erano troppo lunghe perchè c’erano troppi focus, troppi piani mescolati. Avevano bisogno di calendarizzare differenti riunioni a seconda degli obiettivi: incontri di progettazione, incontri di aggiornamento, incontri di avanzamento strategico.

Questo nuovo flusso ha permesso di dare risposta ai bisogni di maggior efficacia e operatività alleggerendo il tempo e l’ordine del giorno di ciascuna riunione. Prima di questo lavoro le loro riunioni duravano dalle 3 alle 4 ore, adesso durano 1 ora e mezza. Nell’intervista Matteo dice: “Abbiamo risparmiato la metà del tempo e abbiamo raddoppiato l’efficacia”.

“La facilitazione supporta il gruppo a trovare i propri strumenti, a costruirseli se necessario , a puntare sul co-design delle proprie soluzioni nella consapevolezza che così sarà più facile integrarli e metterli in pratica”

La buona operatività però non basta per darci un senso di appagamento alla fine della riunione. I risultati visibili sono un indicatore importante ma l’atmosfera che si crea mentre lavoriamo lo è altrettanto.

Le riunioni servono a rafforzare il lavoro in gruppo, il senso di far parte di una squadra, la capacità di affrontare le sfide insieme.

Il livello relazionale pesa quanto quello operativo. Per Matteo la sfida era: come possiamo collaborare di più, rafforzare le relazioni e distribuire maggiormente la leadership?

Per capire come aiutarli ho assistito a una loro riunione: ogni gruppo è diverso, non c’è una soluzione uguale per tutti.

La facilitazione supporta il gruppo a trovare i propri strumenti, a costruirseli se necessario , a puntare sul co-design delle proprie soluzioni nella consapevolezza che così sarà più facile integrarli e metterli in pratica. Piccole soluzioni, semplici ma dal grande potere trasformativo. Una fra tutte: evitare le riunioni fatte attorno a un tavolo e con il computer davanti ma costruire un contesto spaziale che ci “costringa” a guardarci negli occhi, che permetta il movimento e lo usi come leva per favorire la creatività e un flusso maggiore di idee.

“Le riunioni sono il nostro primo e più importante Team Building aziendale”

Così, insieme, siamo arrivati alla fine del nostro percorso. E ci siamo portatə a casa la consapevolezza di come le riunioni sono il nostro primo e più importante Team Building aziendale.

Come dice Matteo nell’intervista : “Abbiamo raggiunto una  grande concretezza e l’abbiamo raggiunta insieme: ognuno di noi  ha potuto contribuire alla soluzione e proprio per questo abbiamo ottenuto un risultato straordinario”.

Ilaria Magagna

Cofounder e Facilitatrice TARA

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Storie dagli incontri di Codesign the Future
Cosa accade quando un gruppo di persone motivate, dirigenti di imprese, si riuniscono intorno a un tema significativo, in un ambiente facilitato?

Accade CODESIGN THE FUTURE!

Mi sento felice e orgogliosa di questo primo evento che abbiamo studiato e curato negli ultimi mesi: è per me l’ulteriore riprova che, se costruiamo team resilienti, basati sulla fiducia e la voglia di mettersi in gioco, anche nei momenti piú complessi possono emergere idee brillanti e rivoluzionarie. Il contesto esterno ci sta spingendo a rivedere, tra le altre cose, il nostro modo di lavorare, come facilitatrici: ci sta spingendo ad andare all’essenza di quella che è la nostra mission, il nostro apporto nel mondo.

È possibile costruire comunitá, a distanza? Far emergere il valore di un gruppo, stando dietro ad uno schermo? Questa è la nostra sfida adesso: accedere a informazioni importanti e creare spazi di condivisione, anche online.

Non è semplice, ma neanche impossibile. Questi gli ingredienti che hanno reso significativo, ai nostri occhi e ascoltando i feedback di chi ha partecipato, il primo evento.

La cura è stata essenziale: la preparazione minuziosa, i contatti diretti e personali, la ricerca delle domande piú giuste, l’uso di strumenti appropriati. Ci siamo messi piú e piú volte nei panni di chi avrebbe partecipato, immaginando le sfide tecnologiche quanto la difficoltá a collaborare con persone sconosciute.

Tutto è stato possibile grazie all’intero team di TARA: ognuno ha fatto un pezzetto, cosí come abbiamo chiesto un pezzetto di sé a chi ha partecipato. Lo chiamiamo ‘modellare il campo’: cerchiamo di avere tra noi del team la stessa cura che mettiamo nel lavorare con le organizzazioni. In una specie di legge della corrispondenza, tanto fuori quanto dentro, e viceversa.

La diversitá del gruppo, sia di chi ha partecipato che di chi ha organizzato: la pluralitá di esperienze e punti di vista ha fatto sí che siano emersi contenuti interessanti, non scontati. È l’ascolto di ció che non conosciamo che ci arricchisce, e che ci sfida allo stesso tempo!

Uno dei nostri principi guida nella facilitazione è la Deep Democracy, Democrazia Profonda, la convinzione che per avere una trasformazione davvero sostenibile, sia necessario l’ascolto di tutte le voci, anche quelle fuori dal coro, piú diverse o scomode. Uno spazio maieutico: usiamo spesso questa parola, che Socrate associava a chi fa la levatrice di idee e nuove consapevolezze. È nostra credenza, e attitudine, non sapere cosa sia meglio per le imprese con cui dialoghiamo: attraverso il Codesign creiamo spazi sicuri dove le persone possano rispondere a domande significative.

Poca teoria e molta pratica: i partecipanti si sono stupiti di come tre ore possono volare, anche dietro ad uno schermo, se coinvolti con il giusto ritmo!

Questo periodo storico ci sta insegnando a stare sempre piú comodi nell’incertezza: non sappiamo cosa emergerá lungo il percorso che facciamo insieme. Curiositá e fiducia sono necessarie per l’esplorazione.

Cosa abbiamo fatto, dunque?

È stato come un piccolo viaggio. Chi ci conosce sa che siamo appassionate di ‘processi’: per noi il come arriviamo all’obiettivo è tanto importante quanto il raggiungimento dell’obiettivo stesso. Attraverso una serie di spazi, di riflessione personale, a coppie e in plenaria, i partecipanti hanno risposto ad una serie di domande sulla felicitá al lavoro, per far emergere tanto i limiti e le credenze culturali, quanto azioni pratiche da fare a partire da domani per aumentare la chimica positiva nei propri ambienti lavorativi.

Un particolare ringraziamento va a 2Bhappy Agency: l’idea di Codesign the Future è nata all’interno di un percorso, per diventare Genio+, che ho intrapreso a inizio anno e che si concluderá proprio con questo evento come prototipo.

Veruska Gennari, Daniela di Ciaccio e Melissa Parrinello sono state esempio di imprenditrici illuminate, che hanno scelto di mettere a servizio di un proposito nobile il loro impegno: il principio +NOI -IO è uno dei pilastri della Scienza della Felicitá, quello che ha ispirato Codesign The Future.

E adesso tutta dritta e aperto il cammino davanti a noi, con una sola certezza: di volerlo condividere con piú persone possibile. Il prossimo evento, il 18 novembre, avrá come tema il potere, forse il piú vicino al mio cuore di change maker.

Per ricevere  tutte le informazioni scarica Telegram da Google Play o Apple Store  collegati  sul nostro canale telegram, nuovo fiammante al link   https://t.me/codesignthefuture e premi il tasto “unisciti”.

Melania Bigi

Cofounder e Facilitatrice di TARA

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Quando lə cofounder di We Rad, agenzia di comunicazione digitale di Firenze,  mi hanno contattata l’hanno fatto con l’obiettivo di diventare una B corp e/o una societá benefit.

Ricordo il primo incontro fatto dal vivo, a inizio 2020, nella loro nuova sede, bellissima, nella zona nord ovest della città: un lungo tavolo bianco e pareti intrise di design per una start-up creativa e originale. Perfetto!

Nell’aria aleggiava una domanda: perché diventare una società Benefit? Certo, è sempre piú di moda, attira un certo tipo di clienti ma se alle parole non corrispondono le azioni, è davvero una scelta sostenibile? Che impatto ha? Basta uno statuto con inclusa la parte valoriale per essere piú “teal”∗?

Le domande sono state il punto di partenza del lavoro di facilitazione con i soci e le socie di We Rad.

La facilitazione inizia così, con la fase di assessment: pone domande scomode che portano a riflettere su temi spesso lasciati al margine ma che invece sono centrali e incidono profondamente sulla vita dell’impresa.

Abbiamo compiuto un percorso su due livelli:

  • insieme abbiamo esplorato le relazioni nel team, a livello interpersonale e sistemico, globale;
  • i soci e le socie, da solə e contemporaneamente, hanno portato avanti il lavoro sul piano della legal entity – lo ammetto: è stato bello vedere il loro sorriso quando, durante l’ultimo incontro di facilitazione del 2021, hanno condiviso con me lo statuto della nuova Benefit che hanno costruito.

La facilitazione agisce contemporaneamente su due piani, quello invisibile della relazione e quello concreto della produzione di risultati, perché l’obiettivo è evolvere di pari passo, tanto fuori, nel mondo, quanto dentro, come gruppo.

Durante la prima fase di lavoro, quella di assessment, sono emersi i nodi da sciogliere nei mesi successivi. Spesso i temi sono comuni a molte imprese: sembrano sfide insormontabili, possono essere trasformate!

Un tema diffuso, ad esempio, riguarda l’elevato turn over dei dipendenti e un limitato coinvolgimento delle persone.

Attraverso attività di team building, creando spazi di relazione e feedback, abbiamo permesso di far emergere le difficoltà di alcune persone nell’espressione della propria voce.

È bello vedere che, aumentando la partecipazione le persone si danno il permesso di esprimersi, si trovano soluzioni win win che permettono un’evoluzione collettiva.

Un’altra sfida diffusa nelle imprese e affrontata anche con We Rad riguarda il futuro dell’impresa: attraverso la storia di ognuno quanto quella collettiva, siamo andati ad affrontare le ferite nascoste  nel passato.

Spesso traumi che appartengono alla vita professionale precedente influiscono sul presente e sulla possibilità di immaginare con serenità e creatività il futuro dell’impresa. Lavorare sulla strategia dell’organizzazione significa anche lavorare sulle ferite del passato dellə sociə e del team.

Infine, capita spesso che il grande carico di responsabilità dei fondatori e delle fondatrici rispetto al resto del team possa incidere negativamente.: Quando lə leader sono esaustə, c’è una parte di difficoltà personale e una che riguarda il sistema.

Con We Rad abbiamo affrontato le difficoltà del gruppo portando chiarezza e trasparenza sulle procedure interne, per poterle rendere migliori. Il lavoro ha portato ad un alleggerimento dellə leader, ma anche a una maggiore capacità di delega e a un grado maggiore di responsabilizzazione di ruoli diversi.

Abbiamo lavorato dal vivo, una volta al mese, con costanza (entro i limiti del possibile). Scegliere di darsi il tempo per fermarsi, guardarsi, rallentare per mezza giornata la frenesia del lavoro, e affidarsi completamente ad una figura esterna significa portare uno sguardo di cura sul team.

Abbiamo lavorato con persone che hanno diversi ruoli, su più livelli: a volte solo con i 3 soci, altre con tutto il team insieme, alternando un lavoro piú strategico e profondo con incontri di team building, valorizzando la diversitá che c’è nel gruppo, dando spazio alle diverse voci e posizioni.

Abbiamo lavorato con uno sguardo a 360 gradi sull’impresa: dai valori e dal proposito, alle procedure e alla governance, alla fiducia tra colleghə.

La facilitazione sistemica, tipica dell’approccio TARA, prevede di affrontare tutti gli aspetti della vita di un’organizzazione, sapendo che sono tutti tra loro collegati. Per questo quando arriviamo portiamo con noi il Triangolo della Facilitazione che ci permette di lavorare su tre aree, processi, persone e obiettivi.

Come sempre accade, alla fine di questo primo anno di facilitazione insieme, abbiamo raccolto i feedback. Per noi è un passaggio importante, fonte di informazioni per un lavoro sempre più su misura. Tra le voci sono emersi apprendimenti:

Ho imparato a non dare niente per scontato.

Ho imparato che è necessario fermarsi per migliorarsi.

Ho visto la bellezza di scrivere una storia che è la propria storia.

Grazie: è un piacere lavorare con una start up che fin dall’inizio vuole preparare bene il terreno, seminare e piantare con una visione a lungo termine.

L’impresa che vuole trasformarsi in BCorp deve agire come una saggia contadina: seminare bene oggi per raccogliere ancor più frutti in futuro!

∗⁡⁡ Non tuttə sanno cosa significa impresa teal: per noi è una direzione e un approccio. Descritto da Frederic Laloux in “Reinventare le Organizzazioni”, il paradigma teal è il prossimo stadio dell’evoluzione delle organizzazioni, che alcune imprese in tutto il mondo stanno già adottando. Tre i pilastri del modello organizzativo: il proposito, il perché profondo che guida l’agire; la pienezza, come possibilità di sviluppo del pieno potenziale umano; l’autorganizzazione, come insieme di pratiche per il funzionamento dell’azienda.

Melania Bigi

Cofounder e Facilitatrice Tara

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Esplorare la Rete: OltreTara è una proposta di contenuti settimanali
OltreTara, un viaggio per superare gli stereotipi sul lavoro.

La facilitazione non è solo un metodo per affrontare i problemi: è preziosa anche per individuarli permettendo alle organizzazioni di capire meglio le esigenze interne di cambiamento e i percorsi da attivare. L’esperienza di Trentino Social Tank è emblematica: un’impresa che si è messa in gioco e attraverso il lavoro sul team è riuscita a guardarsi dentro e a progettare pratiche d’uso e soluzioni per lavorare meglio insieme.

Nel podcast Elisa Poletti racconta l’esperienza dal punto di vista dell’impresa.

Nel testo Ilaria presenta le tecniche e gli strumenti di facilitazione applicati.

LA FACILITAZIONE PER INDIVIDUARE LE SFIDE DI UN’IMPRESA

La facilitazione non aiuta solo ad affrontare le sfide di una impresa, ma anche a individuare quali sono.  Spesso, infatti, quando in un’organizzazione emerge l’esigenza di cambiare, magari perché i team sono demotivati o c’è poca innovazione, non è semplice per CEO, amministratori e responsabili di area sapere da dove cominciare. Ma la soluzione c’è, è già presente nei team, è necessario però farla emergere: (anche) a questo serve la facilitazione.

All’inizio, quando una organizzazione si approccia alla facilitazione accadono di solito due cose: la domanda di trasformazione è molto chiara o, al contrario, c’è una spinta, un bisogno di cambiamento ma da dove partire non è per nulla scontato. (caso, questo, in cui il compito della facilitazione è prima di tutto aiutare a svelare le domande nascoste).

C’è, poi, un terzo caso, ed è quello di Trentino Social Tank – TST, incubatore di imprese: la domanda è chiara, il bisogno individuato senza troppe sfumature ma quando si comincia a lavorare emergono domande differenti, più sotterranee.

IL CASO TST: L’IMPORTANZA DI INDIVIDUARE I BISOGNI DEL TEAM

Come facilitatrice ho conosciuto Elisa Poletti,  founder di TST, e tutto il team un pò alla volta. Il nostro rapporto professionale è stato un crescendo: ci siamo incontrate all’inizio per una formazione sul tema delle riunioni, poi abbiamo collaborato alla formazione online ed infine Elisa mi ha chiesto di facilitare le loro dinamiche interne.

Nell’intervista in cui descrive l’esperienza della facilitazione dal punto di vista dell’impresa, Elisa racconta: “Ho chiesto  a TARA di aiutarmi a capire i bisogni formativi interni. Ma mi sono resa conto che quella era la punta dell’iceberg: la richiesta svelava un bisogno differente, più profondo. La facilitazione ci ha aiutato a capire collettivamente la strada che volevamo intraprendere come organizzazione.”

Elisa Poletti

In casi come questo, la domanda iniziale è solo una porta. Un invito a esplorare più a fondo le dinamiche dell’organizzazione e a fare un passo verso ciò che ancora non è emerso nella consapevolezza dei team. La capacità di una facilitatrice è di accorgersi che c’è altro e creare uno spazio affinché venga alla luce; la capacità del un gruppo è di accogliere la sfida che i nuovi bisogni e le nuove domande pongono.

Lo abbiamo già sottolineato nel podacst: la chiarezza non è un momento, una illuminazione, è piuttosto un processo complesso al quale si arriva spendendo tempo ed energie.  La facilitazione di un team è anch’essa un processo: un viaggio che si fa col team ascoltando, intuendo, aspettando senza mai forzare ma, anche, senza mai mollare. La facilitatrice, si dice, “tiene il campo” cioè modella lo spazio e lo tiene affinché il gruppo possa esplorare, in sicurezza, i temi che ha bisogno di affrontare in quel preciso momento.

Nel caso specifico, la domanda iniziale di TST ne nascondeva altre due che sono emerse dopo un primo momento di assessment e diagnosi: un bisogno di appartenenza maggiore all’organizzazione da parte di tutte le persone e l’esigenza di  valorizzare alcune competenze. “Non tutti  – spiega Elisa – ci eravamo resi conto di questa difficoltà ma tutta l’organizzazione si è messa in moto per trovare soluzioni insieme per valorizzare alcune persone  in nuovi ruoli e compiti”

Attraverso le pratiche di facilitazione invece di considerare le esigenze profonde delle singole persone come domande isolate e individuali si cercano risposte collettive a una difficoltà espressa da una parte del team e che però ha, come nel caso di TST, un impatto sull’intero percorso di crescita e sviluppo dell’organizzazione.

GLI STRUMENTI DELLA FACILITAZIONE PER FAR EMERGERE LE SFIDE DEL TEAM

La facilitazione, con strumenti semplici, come le domande generative, la visualizzazione e la continua sollecitazione a cercare idee insieme e soluzioni win win, ha aiutato il gruppo a far leva sull’intelligenza collettiva in maniera efficace e pratica.

Uno degli strumenti utilizzati, che viene dalla facilitazione sistemica, è la linea sociometrica. La facilitatrice pone una domanda e chiede a ciascunə di percorrere una linea cha va da 0 a 10 e di collocarsi fisicamente su quella linea, disegnata nel suolo, in base alla propria risposta. Senza parole, senza discussioni, ognunə trova il suo spazio. Immediatamente si crea una costellazione, ossia un raggruppamento nello spazio, che permette al gruppo di guardarsi da fuori, come un insieme, e di cominciare a prendere atto e coscienza delle emozioni e delle relazioni: come si distribuiscono le persone?  Dove si concentra il numero maggiore? E quello minore?

In questo modo si intuisce subito, visivamente, quanto e come un tema sfidante per l’organizzazione ha bisogno di essere lavorato. Come? Si chiede alle persone coinviolte di scrivere su un post.it perchè si sono collocatə su quel punto della linea e non un passo indietro e su un altro post.it di colore diverso cosa le aiuterebbe a fare un passo in avanti. Non 10 passi, non una falcata. Un passo solo, un semplice passo nella direzione di una trasformazione lenta ma costante e soprattutto sostenibile. Nelle risposte è già tracciata una strada. Ed è tracciata allo stesso tempo dall’individuo e dal gruppo nel suo insieme. Così ha lavorato TST, portando a galla, un passo alla volta, le sfide importanti che, affrontate, hanno permesso un movimento necessario all’evoluzione dell’organizzazione.

L’IMPORTANZA DEL CODESIGN PER TROVARE SOLUZIONI SOSTENIBILI

Dopo un primo momento di esplorazione delle domande, ne abbiamo affrontato un secondo di co-design e costruzione collettiva delle risposte. La fase di co-design è importante: che soluzione troviamo, come gruppo, alle sfide individuate? Non basta la consapevolezza, non basta svelare le domande  e i bisogni. Per attivare una trasformazione bisogna costruire insieme delle pratiche d’uso. Questo è il momento in cui la facilitazione aiuta ad attivare l’intelligenza collettiva che porta a buone soluzioni. Buone perchè sono costruite da tuttə e perché un gruppo che vince una sfida, ne esce più forte e con una maggior fiducia in sé stesso e in tutti i suoi componenti.

Rileggendo il modulo di feedback inviato alla fine del percorso mi ha colpito una risposta che qui trascrivo perchè, meglio di me, sa raccontare la facilitazione e come può essere utile a un team che lavora insieme:

“La facilitazione ha aiutato tutto il gruppo ad esprimersi e trovare soluzioni condivise. Non c’è stato un protagonista, tutti hanno avuto la possibilità di far sentire la propria voce”.

La facilitazione, lo abbiamo scritto, non serve a dare soluzioni standard, buone per tutti. La facilitazione serve  a creare spazi affinché quelle soluzioni emergano dal gruppo. Come è avvenuto con TST.

Ilaria Magagna

Cofounder e Facilitatrice TARA

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“17 storie per il 2030” e riflessioni sul “Talento agito”.
Mini-guida intergalattica per darsi un ruolo

Il team di ReCommon ha contattato TARA in un momento particolare per molte organizzazioni: avevano acceso l’attenzione sul benessere organizzativo decidendo di lavorare sul conflitto.

Spesso il conflitto ci sembra esplodere dal cielo, out of the blue, e ci coglie impreparatǝ: ma se guardiamo bene il processo, troveremo sicuramente dei segnali che avevano annunciato lo scoppio.

Un po’ come le eruzioni vulcaniche: sono sempre precedute da scosse sismiche. Abbiamo dunque iniziato un percorso con un duplice obiettivo: imparare a gestire i conflitti interni quando sorgono, ma anche analizzare dove sono i punti critici, le faglie nel terreno comune, che potrebbero generare tensioni.

Il primo passo è stato affrontare la parte emotiva legata ai conflitti: prendere consapevolezza dei processi interni è stato necessario punto di partenza per le fasi successive.

Siamo organizzazioni umane, e difficilmente si può affrontare il lato più razionale e cognitivo (la governance, le procedure, ecc ecc) se non siamo centratǝ sul lato emozionale.

Il secondo passo è stato di analisi e diagnostico: utilizzando il triangolo Scopi-Processi- Persone siamo andatiǝ a analizzare i punti di forza e le criticità del sistema Re:common.

In particolare il lavoro si è focalizzato su queste ultime: individuare quello che bloccava il fluire della comunicazione, ci ha permesso di affrontare questioni legate alla governance e alla leadership.

É importante capire che le nostre organizzazioni sono come sistemi viventi, dove ogni organo è collegato con l’altro e il benessere generale non si può avere se non prendendoci cura di ogni parte E del sistema nel suo insieme.

Essendo il processo iniziato proprio a inizio pandemia Covid, tutta la prima parte del percorso é stata online: questo ha permesso al team stesso di affrontare uno dei temi caldi, il lavoro a distanza.

Il terzo e ultimo passo del processo (almeno ad oggi!) è stato il co-design di un documento di procedure per affrontare i conflitti interni al team.

Abbiamo progettato e realizzato insieme, in un processo di scrittura collaborativa, una vera e propria guida per la gestione interna del conflitto con piccole e concrete pratiche da mettere in atto quando serve.

Siamo partitiǝ dall’analisi dello stato attuale: cosa significa conflitto per noi? Quali sono i segnali che ci fanno capire che l’atmosfera sta cambiando? Quali gli spazi e i momenti in cui è più facile che il conflitto emerga?

Da qui, anche attraverso pillole formative rispetto alla comunicazione e al feedback, il team ha scelto quali possono essere le pratiche che aiutano nelle diverse fasi.

Possiamo notare il cambio di atmosfera e i segnali, le scosse sismiche, prima di trovarci sommersǝ dalla lava?

Cosa ci blocca dal portare fuori il conflitto quando é ancora piccolo e gestibile?

E se non riusciamo ad affrontarlo in maniera bilaterale, cosa facciamo?

Queste e molte altre domande sono state esplorate, fino a giungere a pratiche semplici e immediate che possano supportare il benessere quotidiano del team.

Il risultato di un lavoro del genere si vede sia sul breve periodo (il clima interno è migliorato e il team sta crescendo) che sul lungo. Ma di questo forse scriveremo un articolo tra qualche anno!

E mi piace ricordare l’assunto fondamentale per noi di TARA quando lavoriamo con il conflitto.

Il conflitto non è positivo o negativo, ma la consapevolezza con la quale lo affrontiamo fa sì che possiamo trasformare la lava nel più fertile dei terreni per seminare il futuro delle nostre organizzazioni.

Ringrazio tutto il team di Re:common per la fiducia, in me quanto in loro stessǝ, necessaria per un lavoro delicato come quello che stiamo affrontando insieme.

Melania Bigi

Cofounder e Facilitatrice TARA

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La distribuzione del POTERE nell’impresa

La felicità è un viaggio da fare insieme
Il nostro canale Telegram e la storia del colibrì

Come costruire strutture di governance sostenibili?

Il potere è visto come una risorsa scarsa, per la quale vale la pena di lottare. Questa situazione inevitabilmente fa uscire la parte nascosta della natura umana: l’ambizione personale, i giochi di potere, la mancanza di fiducia, la paura, l’avidità. […] La diffusa mancanza di motivazione che stiamo osservando in molte organizzazioni é un devastante effetto negativo dell’iniqua distribuzione del potere.

Cosí inizia Frederic Laloux il capitolo del suo libro ‘Reinventare le organizzazioni’ sul tema dell’auto-organizzazione. Il potere è un concetto astratto, come amore, fiducia, successo, e in quanto tale, neutro. Ognuno di noi lo riveste, in base alla propria esperienza di significati positivi o negativi.

Per questo abbiamo iniziato il secondo evento di CODESIGN THE FUTURE con la domanda ‘se dico potere, a cosa pensi?’

Crediamo che, sia a livello personale che culturale, abbiamo bisogno di affrontare maggiormente questo concetto, entrarci in confidenza, per diventare piú consapevoli del nostro impatto. Allo stesso modo che a livello personale e sociale, si crea una cultura aziendale intorno a questo tema, ovviamente influenzata dalla cultura piú ampia e dal momento storico in cui viviamo e siamo immersi. La governance è uno specchio, la materializzazione, del Proposito Evolutivo di un’impresa. Quindi importante capire COME il potere si manifesta, che forma prende nei nostri ambienti di lavoro.

Alcune domande che ci aiutano nell’esplorazione possono essere:

  • Chi detiene le informazioni? Chi vi ha accesso? E come circolano nel sistema?
  • Chi è custode della visione? Sappiamo perché facciamo quello che facciamo e per raggiungere quali obiettivi?
  • I flussi economici sono chiari e trasparenti? Lo stesso si puó dire dei ruoli e dell’organigramma?

La facilitazione ci supporta nell’esplorare il concetto di potere all’interno delle nostre aziende, per far emergere sempre nuovi punti di vista. Con quest’attitudine abbiamo esaminato le due forme geometriche per eccellenza che rappresentano due polaritá nella distribuzione del potere: il triangolo e il cerchio.

Responsabilitá, engagement, velocitá nelle decisioni, passaggio delle informazioni sono solo alcuni degli ambiti influenzati dalla struttura che diamo all’impresa. Siamo convinti che non ci sia un modello unico e perfetto da applicare ovunque: cosí come sosteniamo con fermezza che sia necessario conoscere le alternative per poter SCEGLIERE, e non dare per scontato che “poiché abbiamo sempre fatto cosí, cosí per sempre deve essere”.

Certo è che non possiamo cambiare un sistema dall’oggi al domani. Ogni impresa ha il suo proprio tempo evolutivo, che va ascoltato, accettato, assecondato. È un’illusione quella di poter governare i sistemi: noi SIAMO parte del sistema, in quanto tale lo possiamo influenzare, tanto quanto lui influenza noi.

Nel libro ‘Empresas con Alma, empresas con futuro’ Guillermo Echegaray sostiene che, da un punto di vista sistemico, ció che definisce la leadership è la capacitá di prendere decisioni. Crediamo che la leadership del futuro, sia quella delegata a un ristretto gruppo dirigenziale quanto quella fluida e condivisa, abbia bisogno di un elemento chiave: è la consapevolezza definirá l’evoluzione delle nostre imprese. Non in termini astratti e mistici, quanto nella realizzazione profonda del momento in cui siamo, né piú né meno. E da quel punto decidere, scegliere (non farsi trasportare dalla corrente!) qual’è il prossimo passo da fare per rendere piú sostenibile la nostra impresa.

Chiudiamo questo articolo con un altro estratto dal libro di Laloux, con cui abbiamo iniziato, che possa guidarci verso nuove forme di governance piú evolute.

Nel processo di consultazione ogni persona nell’organizzazione puó prendere qualunque decisione, ma prima deve chiedere consiglio a tutte le parti coinvolte e alle persone con maggior esperienza sul tema. La persona non è obbligata a integrare ogni singolo consiglio: il punto non è raggiungere un compromesso annacquato che accontenti i desideri di tutti, ma ricercare e tenere in seria considerazione i diversi pareri. Piú grande è la decisione, piú ampia è la rete che deve essere coinvolta. Di solito a decidere è la persona che ha notato il problema o l’opportunitá o quella che ne viene maggiormente toccata.

Vi aspettiamo al prossimo evento il 17 dicembre 2020. Per ricevere tutte le informazioni scarica Telegram da Google Play o Apple Store, collegati al nostro canale Telegram https://t.me/codesignthefuture

Melania Bigi

Cofounder e Facilitatrice TARA

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La facilitazione per affrontare i conflitti nei gruppi.

Parliamo di performance, genialità e sindacati.
Non sapete come trascorrere un po’ di tempo il fine settimana? I consigli da OltreTara

Partiamo da un punto di vista: il conflitto è inevitabile. Fa parte della relazione umana.

Il conflitto è inevitabile ed è anche molto difficile affrontarlo.

C’è una frase che mi piace molto di F. Laloux che dice che il conflitto è inevitabile le azioni conflittuali no. Ecco credo che la parte difficile e che ci terrorizza di un conflitto non sia tanto il conflitto in sé ma le azioni conflittuali che esso scatena.

“Il conflitto se affrontato può essere una grande opportunità”

La maggior parte delle volte l’approccio dominante in un team è quello di evitare quanto più possibile il conflitto.

La facilitazione invece ci dice che il conflitto, se affrontato, può essere una grande opportunità.

PERCHÉ È IMPORTANTE PARLARE DI QUESTO TEMA?

Per tre motivi almeno.

  1. perché il conflitto è inevitabile e quindi tanto vale affrontarlo
  2. perché, come dice Arnold Mindell fondatore del Processwork o psicologia orientata al processo, il conflitto è espressione di un sintomo: se noi immaginiamo il team come un organismo, l’emergere del conflitto è come l’emergere di un sintomo che se esplorato ci conduce a una serie di informazioni importanti
  3. perchè è trasformativo e affrontarlo significa svelarne il messaggio nascosto, portarlo alla luce in modo da acquisire nuove consapevolezze e nuove informazioni. E con queste mettere in atto una serie di azioni e scelte che ci aiutano a migliorare.

“Il conflitto è espressione di un sintomo che se esplorato ci conduce a informazioni importanti”

Quindi affrontare il tema dei conflitti nei team è importante perché ci permette di lavorare meglio, raggiungere più efficacemente e felicemente gli obiettivi e costruire relazioni più soddisfacenti.

Un team che lavora suo propri conflitti senza nasconderli o, peggio, esplodere, è un team più felice, efficace, potente.

COME POSSIAMO AFFRONTARE I CONFLITTI?

Adesso che abbiamo capito perchè è così importante proviamo a capire come e cosa ci aiuta ad attraversare i conflitti e a trasformarli in  nuove opportunità.

Di metodi e tecniche ce ne sono molte, ogni gruppo incontra le sue, quelle che gli sono più congeniali.

Sicuramente ci sono delle attitudini che valgono per ciascun team.

  1. lavoro su di sé: in gruppo tutto viene amplificato per questo abbiamo la responsabilità di fare un lavoro su di noi. Arnold Mindell dice che prima di entrare nel fuoco del conflitto di un gruppo ciascuno dovrebbe bruciare la propria legna, ossia prendere maggior consapevolezza di cosa ci muove, ci spaventa, ci accende nel conflitto. Ognuno di noi ha una relazione con il conflitto che deriva dalla sua storia, dai traumi attraversati, dal modello genitoriale  e culturale e così via. Diventare maggiormente consapevole di tutto ciò mi aiuta a gestire meglio i conflitti nel gruppo semplicemente perché riconosco la mia parte, le mie attitudini e i miei modi di rispondere a un conflitto.
  2. attenzione alla comunicazione: noi spesso diamo per scontato che il nostro modo di vedere le cose sia l’unico possibile. Ma in un gruppo dove la diversità è parte integrante ci saranno tanti punti di vista diversi quante persone ci sono nel team. Imparare ad ascoltare con curiosità il punto di vista dell’altra persona è una delle skill fondamentali per affrontare il conflitto. Come dice Marianella Sclavi nel suo bellissimo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili “per ascoltare e comprendere  il punto di vista dell’altro devi assumere che ha ragione” (tanto quanto te). Quindi la chiave sta nel non assumere che il mio punto di vista è l’unico possibile ma che anche il punto di vista dell’altra persona è legittimo. Attenzione: assumere il punto di vista dell’altrə non significa rinunciare al proprio ma semplicemente ampliare le possibilità.

“Domandarci quale è il bisogno dietro una posizione ci porta a spersonalizzare il conflitto e a connetterci con il messaggio che porta”

  1. Attenzione ai bisogni (invece che alle posizioni): Marshall Rosenberg, fondatore della Comunicazione Non Violenta, dice che i conflitti sono l’espressione di bisogni non ascoltati. Invita quindi a separare le posizioni dai bisogni per aiutarci ad andare al cuore del conflitto e a far emergere il messaggio nascosto utile a tutto il team per evolvere. Anche qui il lavoro personale è fondamentale: più siamo consapevoli della parte invisibile che ci muove in un conflitto più possiamo portarlo fuori con cura. Domandarci qual è il bisogno dietro una posizione ci aiuta a spersonalizzare il conflitto e a connetterci con il messaggio che porta. In questo modo riusciamo a trasformare il conflitto da una polarizzazione insanabile tra posizioni contrapposte a un dialogo tra bisogni legittimi.

COSA FA LA FACILITAZIONE

La facilitazione aiuta  a passare da un paradigma win-lose a uno win win. Nel sistema win lose in un conflitto c’è sempre una posizione, che vince e una che perde. Questo, se ci pensiamo, apre alla possibilità, nel tempo, di capovolgimenti, piccole lotte intestine, rivoluzioni da parte di chi ha sentito di perdere in un confronto. La ricerca invece di soluzioni win win e cioè di soluzioni in cui tutti i punti di vista trovano soddisfazione produce maggiore stabilità e benessere. Sono le soluzioni win win che producono avanzamento in un sistema non quelle win/lose.

“La facilitazione aiuta a trovare soluzioni win-win”

C’è un aspetto del conflitto che molte volte viene sottovalutato ed è l’aspetto creativo. In fondo se ci pensiamo il conflitto non è altro che un disaccordo tra due punti di vista differenti. Il conflitto quindi ha a che fare con la diversità. L’opportunità di un conflitto è proprio la possibilità di far dialogare punti di vista differenti e far emergere nuove possibilità e di trovare in quel dialogo soluzioni creative e innovative.

La diversità porta con sé maggior possibilità di trovare soluzioni sostenibili: e’ il disaccordo che genera soluzioni creative non il contrario.

“Per trovare soluzioni win-win servono competenze: la curiosità e la creatività”

“Per trovare soluzioni win-win servono competenze: la curiosità e la creatività”

Le competenze necessarie per giungere a soluzioni win win sono: una grande curiosità che mi permette di esplorare  il punto di vista dell’altro e un grande creatività che mi permette di scorgere la terza via in due dimensioni contrapposte.

In questo senso la diversità, la divergenza di opinioni diventano una ricchezza, qualcosa da accogliere piuttosto che da evitare perchè permettono di trovare soluzioni creative oltre che più inclusive e sostenibili nel tempo .

La facilitazione aiuta il gruppo a fare questo passaggio: da posizioni polarizzanti a posizioni che accolgono l’altra parte per costruire insieme nuove strade.

“Con la facilitazione il team compie un viaggio in 4 passi per la trasformazione del conflitto”

La facilitazione permette ai team di fare un cammino in 4 passi per la trasformazione del conflitto.

  1. il primo passo è quello di ammettere che c’è un conflitto o tensione nel team
  2. il secondo è di far emergere tutti i punti di vista, di prendere posizione perché solo nel momento in cui io prendo posizione e riesco ad accogliere il mio punto di vista sarò in grado di accogliere il punto di vista dell’altra persona.
  3. la fase finale è quella dell’integrazione cioè quella in cui esploro la soluzione win win e in cui emerge un cambiamento e un apprendimento per me e per il gruppo.

“Parliamo del conflitto in tempo di pace”

Concludo con un piccolo aneddoto che trovo illuminante: durante un corso sul conflitto che ho tenuto per le imprese uno dei partecipanti ha raccontato la propria esperienza: in un momento di relativa calma ha proposto al gruppo di parlare del conflitto. “Parlare del conflitto in tempo di pace” significa chiedersi “Cosa vogliamo fare quando arriverà?”

Aiutiamo i nostri gruppi a parlare di più del conflitto, a dotarsi di procedure e accordi interni per quando sentiamo che sta arrivando. Questo aiuta a trasformare la cultura delle nostre organizzazioni da una situazione in cui evitiamo il conflitto a tutti i costi a una in cui lo normalizziamo: ci diciamo cioè che è normale avere dei conflitti. Sono le modalità in cui lo affrontiamo che lo rendono pericoloso o meno.

Ilaria Magagna

Cofounder e Facilitatrice TARA

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Se la tua azienda fosse Babbo Natale cosa gli chiederesti?
E’ possibile una leadership condivisa nella nostre imprese?

Il Proposito evolutivo

Siamo a gennaio, ottimo momento per guardarsi indietro e in avanti allo stesso tempo. Mai come in questo anno cosí strano (non trovo un aggettivo migliore per definire il 2020) molti di noi si sono sentiti persi. E forse mai come quest’anno molti di noi hanno fatto pulito, tolto il superfluo, connettendosi con l’essenziale.

Abbiamo quasi azzerato i contatti umani, imparato a lavorare in nuove modalitá. Per chi è riuscito a non lasciarsi invadere dalle notizie, è stato un anno di ricerca e silenzio.

Ecco, è dal silenzio che vorrei partire con una riflessione profonda assai: perché esistono le nostre imprese? Perché facciamo quello che facciamo? Giá il farsi la domanda è un ottimo inizio.

Nel codesign del 14 gennaio siamo andati in profonditá. E speriamo di continuare ad alimentare questa comunitá con i temi che piú ci appassionano.

Imprese al servizio della vita

Bert Hellinger, lo psicologo che ha dato vita al sistema delle costellazioni, negli ultimi anni della sua ricerca ha introdotto una domanda chiave nelle costellazioni organizzative: è l’impresa al servizio della vita?

Da quando ho letto questa domanda non riesco a smettere di farmela e di pensarci. Stare al servizio della vita significa essere in contatto con la vita e con la comunitá, e credo che non sia difficile percepire se un’organizzazione è vicina a questo principio o no. E la mia interpretazione è che vita e proposito siano strettamente collegati. Entrambe sono spinte creative ed evolutive, forze piú grandi della nostra volontá, che possiamo solo assecondare, mettendoci al servizio. 

Durante Codesign abbiamo posto la domanda: come facciamo a sapere quando siamo connessi al proposito, quando siamo sulla strada giusta? E quali invece i segnali che ci stiamo allontanando? Nell’immagine qui di seguito le risposte. Tutte e tutti avevano ben chiari i segnali, seppur spesso si tratti di sensazioni sottili. Allora cosa ci impedisce di ascoltarli, e seguirli?

Riportiamo le parole di Brian Robertson, fondatore di Holacracy: “Noi esseri umani possiamo entrare in sintonia con il proposito evolutivo dell’organizzazione; ma la chiave é separare l’identità e cercare di capire: qual’è lo scopo di questa organizzazione? e non: per che cosa vogliamo usare quest’organizzazione, come fosse una proprietà?, ma piuttosto: Che cos’è questa vita, il potenziale creativo di questo sistema vivente?

Questo é ciò che intendiamo per proposito evolutivo: il più profondo potenziale creativo che consente di portare alla vita qualcosa che abbia realmente valore per il mondo… E con questo impulso o potenziale creativo con cui vogliamo entrare in sintonia.”

Elementi essenziali del proposito evolutivo

Abbiamo riassunto alcuni principi legati al proposito, dallo studio di alcuni testi, primo tra tutti Reinventare le Organizzazioni di Laloux:

  1. Le nostre imprese sono sistemi complessi, organismi con un’anima. E se non hanno un’anima, muoiono. L’anima e il proposito evolutivo rendono un’organizzazione viva.
  2. Il proposito giá c’è, non va costruito: possiamo imparare ad ascoltare e lasciar emergere la volontá del sistema stesso, senza forzare…
  3. E per questo abbiamo bisogno di lasciare andare il controllo, e costruire basandoci sul feedback: possiamo imparare a essere come i contadini con la terra. Guardare lontano, scegliere quali semi piantare, sognare i frutti che mangeranno le generazioni future, ma poi in base al meteo e alla luna, giorno dopo giorno, lavorare con quello che c’è.
  4. Tutto è connesso e interdipendente (ormai lo dicono tutti!): per ascoltare il proposito, dobbiamo partire da noi stesse, come persone. Ci piace il verbo fiorire, anche questo è molto naturale. Far fiorire noi stesse, le persone che ci stanno intorno, e poi tutta la nostra impresa. 
  5. Avvicinarsi al proposito è un processo di comunitá, di costruzione di una cultura comune. Certo è importante arrivare ad avere un proposito che ci guida, ma altrettanto importante è il percorso attraverso il quale arriviamo al proposito. Insieme.

Quindi? Cosa è emerso dal quarto Codesign the future?

Siete arrivate e arrivati alla fine di questo articolo? Ecco, da buona ‘maestrina’ ci lascio un compito sul quale porre l’attenzione nei prossimi giorni.

Ogni tanto, un paio di volte al giorno, rallentiamo un attimo, calmiamo la mente da tutto il rumore dei pensieri e degli impegni e chiediamoci: per cosa sono qui? Da quale luogo interiore sto facendo quello che sto facendo? Non importa quale sia la risposta che ci diamo. La trasformazione avviene nel momento in cui ci facciamo la domanda.

“Quando smettiamo di pensare in primo luogo a noi stessi e alla nostra autoconservazione, subiamo una trasformazione davvero eroica della coscienza”

Joseph Campbell

Melania Bigi

Cofounder e Facilitatrice TARA

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