La facilitazione trasforma le imprese. Noi lo diciamo sempre. Ma è quando lo dicono le aziende che l’hanno sperimentata che accade qualcosa di straordinario. Lo raccontiamo con la serie di interviste alle organizzazioni che hanno lavorato con TARA con l’obiettivo di dare voce ai bisogni e alle soluzioni delle imprese che vogliono rendere l’innovazione più facile e il lavoro un lavoro felice.

Stavolta diamo la parola a Forno Brisa che porta una storia particolare. Chi avrebbe immaginato che un panificio potesse diventare un vero laboratorio di innovazione organizzativa e di benessere al lavoro? Non si tratta di quei posti dove per fare il pane si sta in piedi la notte? Eppure l’esperienza di Brisa è diversa ed è tutta vissuta all’insegna di un motto: il lavoro felice è una cosa seria.

Panificio indipendente e ribelle. Forno Brisa si descrive così sul proprio sito come un posto dove trovare facce sorridenti e tante cose buone da mangiare. La loro è una realtà  nutriente in ogni senso: grazie ai pani che producono ma anche alle idee e al punto di vista che che portano. Pasquale e Davide, gli ideatori e fondatori del panificio, si conoscono all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e imparano a impastare da Longoni e da Bonci. Aprono il primo negozio in via Galliera vendendo il pane prodotto usando la farina della propria azienda agricola in Abruzzo. In poco tempo ricevono riconoscimenti dal Gambero Rosso, hanno tre panni e tre rotelle, diventano un gruppo di 30 ragazzi e ragazze che non solo amano mettere le mani in pasta, ma credono che ogni pagnotta racchiuda buone pratiche agricole, di lavorazione e relazioni umane sincere.

Per Forno Brisa lavorare insieme non è soltanto produrre qualcosa di buono e di qualità  ma è costruire un mondo migliore facendo impresa.

Così hanno avviato il percorso per diventare B Corp  e hanno ottenuto la certificazione Great Place to Work.

“Il nostro è un percorso – spiega Pasquale – che parte dal fatto di aver immaginato di costruirci un lavoro che unisse anche la passione. A un certo punto diventa però anche un grande sacrificio,  perché quando si avvia una startup ci sono dei momenti molto duri. All’inizio eravamo un piccolo gruppo con un solo negozio in via Galliera e facevamo un po’ la vita che si fa nei laboratori di pasticceria e di cucina. Quindi, orari difficili. Ci siamo domandati se effettivamente la passione bastasse nel momento in cui il lavoro diventa la tua vita. Quando accade va gestito l’equilibrio e all’inizio si fa con grande difficoltà. Avevamo già  imparato che non volevamo fare il pane di notte per non rinunciare alla vita sociale, abbiamo evitato di andare al lavoro alle dieci di sera e abbiamo cominciato a cuocere il pane la mattina alle cinque. Piccole cose che però non bastavano.

Volevamo creare un impatto positivo sulla filiera, fare del bene alle persone che mangiavano il nostro pane. Ma fare del bene anche a noi stessi, all’organizzazione.

Ci abbiamo messo un po’ a capire come fare, cosa significasse stare bene. Abbiamo fatto tanti errori e accolto tanti feedback da tutti quelli che sono passati da Forno Brisa. Passo passo siamo arrivati alla certificazione Benefit Corporation che certifica, appunto, il percorso intrapreso attraverso la misurazione quantitativa e qualitativa dell’impatto positivo che si ha su tutto l’ecosistema. Ambiente, terra, filiera lavorativa. La certificazione Great Place to Work l’abbiamo ottenuta, invece, perché volevamo farci aiutare da un ente esterno. Sono anni che facciamo sondaggi interni, che ci poniamo domande da dentro. Ogni tre mesi circa, ad esempio, votiamo la trasparenza delle informazioni. Chiediamo: quanto ti senti realizzato, quanto ti senti ascoltato? Abbiamo conosciuto i consulenti di Great Place to Work e abbiamo lavorato insieme a questionari diversi, non nominali per far emergere le aree di cambiamento e la strada da seguire. Non ci dà solo lustro – sono poche aziende in Italia ad avere il riconoscimento – per noi la certificazione è un importante feedback professionale sul benessere al lavoro.”

In questo fantastico mondo di Forno Brisa si inserisce anche la facilitazione: stavolta non cambia in maniera radicale l’impresa, ma funziona proprio come un lievito, fa crescere quello che già  c’è.

Forno Brisa chiama TARA per facilitare l’evento più importante dell’anno, il Mietitour, dove insieme agli amici della filiera agricola il team progetta nuovi modelli organizzativi e dà forma alle idee.

mietitour

Pasquale: “Il Mietitour stato un evento facilitato ed è stato anche un evento facile, fatto di belle relazioni. Il Mietitour nasce prima di Forno Brisa come momento per dare ascolto ai campi – ne avevamo di piccoli, sperimentali a casa mia –  per applicare il modello artigiano e andare a vedere dove nasce il pane: è un momento di pausa, di relazione. Però i momenti di respiro sono magici, portano ispirazione. Nel 2020 il Mietitour diventa il grande momento di respiro di tutto il gruppo, aperto agli amici di Forno Brisa che hanno progettato con noi la prima campagna di crowdfunding – che poi è stata un grandissimo successo, una delle migliori in Italia nel 2020. Quindi il Mietituour è un momento di ispirazione e coprogettazione dove ci siamo resi conto di aver distrutto completamente il modello novecentesco che brutalmente chiamo padrone-operaio. Però nel cambiamento dobbiamo crederci tutti, a questo serve la facilitazione.  Quest’anno dovevamo presentare un progetto enorme e abbiamo chiesto aiuto a TARA. Ci siamo resi conto che la facilitazione rende possibile il dialogo. Negli altri Mietitour c’era una forte asimmetria.

Con TARA abbiamo progettato un percorso di un giorno e mezzo per far vivere a tutti e tutte pienamente il Mietitour.

Volevamo dare esperienza concreta del fatto che si può influenzare il futuro, il progetto. Abbiamo detto: abbiamo una visione figlia degli anni di collaborazione con gli altri colleghi panettieri. Ma era solo uno schizzo su cui tutte le persone si sono messe a discutere. Sono venuti fuori i punti di forza e di debolezza, i rischi e le opportunità, il senso di appartenenza e di distanza. Io, Giulia, Clementina: tutti abbiamo avuto una collaborazione simmetrica. Il giorno dopo la rete era più attiva. Cosa significa? Che per noi la facilitazione è stata l’azione giusta al momento giusto.

La facilitazione diventerà un modus operandi per rompere la dinamica centro periferia, per generare simmetria nell’organizzazione.

Alla fine del Mietitour siamo usciti con un progetto parzialmente virato, alcune persone se ne sono innamorate e ora ne sono parte attiva. Hanno preso parte al sogno. Prendere parte vuol dire prendere un pezzo ma anche stare da una parte, avere le idee chiare, essere partigiani. Vuol dire: vediamo il mondo in questo modo. Quindi è stato come sempre il miglior Mietitour di sempre. Tutti con tutti”.

Sognare insieme, però, non basta per cambiare l’impresa. Per farlo dobbiamo diventare responsabili del sogno, portarlo nel mondo, prenderci il compito di farlo capitare. Da soli è troppo difficile, insieme ce la facciamo perché ciascuno compie un passo, mette a disposizione il tempo e le energie che ha, le competenze che può portare per realizzare un pezzettino di sogno.

Il compito della facilitazione è mettere insieme i passi verso il cambiamento per compiere il cammino. 

Quali sono stati fatti nel Mietitour lo racconta Giulia, collaboratrice di Forno Brisa.

Giulia: “Mi ha colpito molto il momento in cui Ilaria prima del World Cafè ci ha fatto fermare un secondo e ci ha domandato di chiederci ognuno e ognuna il proprio perché. Perché eravamo lì? Nonostante avessi seguito tutto il percorso di progettazione dell’incontro in quel momento ho avuto un’epifania. Ho trovato la ragione per cui ero là. Quando si organizza un evento c’è il rischio di perdersi i pezzi, di guardare solo la logistica, con ansia. Avere la possibilità di fermarci è di partecipare al ragionamento è stato per me l’aspetto più bello”

Pasquale: “Uno dei momenti più importanti è stato per me il disegno della mongolfiera. Abbiamo tutti e tutte descritto le zavorre potenziali del progetto e quello che invece può spingerlo più in là, fargli prendere il volo”.

Oltre al Mietitour, però, c’è di più.

C’è un modo di intendere il fare impresa come acceleratore di un cambiamento possibile che si fonda su relazioni sincere e su una cultura organizzativa orientata al benessere e alla sostenibilità.

Nel libro di Forno Brisa, “Ricette Rubate”, c’è una frase che lo racconta: siamo tutti titolari. Il fatto meraviglioso è che proviene da uno dei mestieri considerati più faticosi. e lontani dall’equilibrio vita-lavoro. Il fornaio di solito ce lo immaginiamo ad impastare da solo, ma non fa solo questo: pensa, insieme agli altri.

Pasquale: “Lo slogan “siamo tutti titolari” nasce per gioco. Entravano le persone in negozio e chiedevano di parlare con i titolari. Il titolo è infatti una garanzia, un titolo dello stato, un titolo di studio: sono pezzi di carta che ti assicurano e danno valore. Ma ognuno di noi porta valore e lo versa nel gruppo. Se ognuno incide in realtà siamo tutti titolari. L’esercizio alla titolarità avviene nel momento di ascolto, nelle riunioni operative che altro non sono se non momenti definiti di dialogo, spazi fisici e di tempo in cui comunicare. Sono luoghi per esercitare la titolarità attraverso l’accesso alle informazioni per poi decidere. Da noi tutti hanno accesso a tutte le informazioni, anche a quelle di solito segrete. A tutti i numeri del negozio. Nel momento in cui sei titolare puoi anche dire di volere l’aumento ma lo fai solo se il negozio che gestisci va bene e per farlo andare bene servono proprio le persone che lavorano lì. Non i titolari che magari sono altrove: è proprio uno sforzo di prospettiva”.

é così, è uno sforzo di prospettiva quello che fanno le imprese pioniere. Continuiamo a intervistarle per raccontare, episodio dopo episodio, un modo nuovo di fare impresa.

Forno Brisa è super, vero? Se vuoi sperimentare la facilitazione e il modo in cui potenzia le imprese, spulcia i nostri prodotti. Magari c’è quello che fa per la tua azienda.

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