Employee retention: ovvero, capacità di motivare le persone a restare in azienda. Si tratta di una sfida globale: secondo un report EY nel 2025 circa il 38% delle persone potrebbe lasciare il proprio lavoro. Il motivo? Chi se ne va spesso lo fa per fuggire da un ambiente di lavoro tossico. Se questo è vero, la sfida di trattenere talenti passa dalla qualità delle relazioni che creiamo all’interno di un’organizzazione. Noi ci occupiamo proprio di questo. Come? Lo racconta Roberto Notarnicola della ciclofocacceria MAMM di Udine.
Diventare un forno Benefit
Quando pensiamo a un forno non sempre lo immaginiamo come un laboratorio di evoluzione organizzativa. La sveglia quando è ancora notte, la fatica di orari improbabili e l’equilibrio difficile tra vita privata e panificazione fanno pensare a qualcosa di molto diverso.
Invece proprio i forni possono infatti diventare imprese agili capaci di sperimentazione non solo di natura gastronomica.
Ne parliamo con Roberto Nicola, founder della ciclofocacceria MAM a Udine e che ha collaborato con Tara per un lavoro a più livelli.
Benvenuto Roberto, partiamo dalla domanda che immagino avrai ricevuto più spesso: cosa è una ciclofocacceria?
“Ciao! Me l’hanno rivolta in molti, dietro la parola ciclofocacceria ci sono tanti significati. Innanzitutto è il sogno di trasformare una passione nel nostro lavoro lanciandoci nella ristorazione. Né io né mia moglie, Chiara, venivamo da questo mondo ma entrambi avevamo una grandissima passione tramandata da mamma e nonna per i lievitati, in particolare per la focaccia. In Puglia viene venduta a ruota, questa è l’unità di misura. Quando vai nei forni, anche se la pesano, chiedi una ruota di focaccia. Poi amo le bici non soltanto dal punto di vista sportivo ma come mobilità sostenibile. Abbiamo deciso di unire in uno stesso spazio le cose che ci piacevano, focacce e biciclette, lasciandoci ispirare da locali già diffusi in Nord Europa. Infine il termine ciclo richiama l’economia circolare, la sostenibilità, l’inclusività”
Il vostro è un nome che racconta subito un tratto: siete una impresa che va oltre un modo tradizionale di fare il forno e infatti siete anche Società Benefit. Cosa vuol dire questo per un panificio?
“Quando siamo partiti 10 anni fa con l’idea di fondare la nostra azienda, uno degli obiettivi era creare un modello di impresa che permettesse alla persona di riconoscere nel lavoro una fonte di felicità e soddisfazione. Le persone spesso parlano in maniera molto conflittuale del loro rapporto con il lavoro.
Noi volevamo costruire un’impresa che riuscisse a restituire valore a tutte le persone coinvolte nel progetto a partire dai ragazzi che lavorano nei nostri team.
È un percorso complesso: i primi a dover cambiare siamo noi imprenditori che ereditiamo modelli organizzativi dal passato, magari da esperienze familiari, legati alla verticalità, dove la testa pensa e le mani agiscono senza sapere esattamente perché lo fanno. Il nostro è stato un percorso denso di ostacoli, con tanti errori e poi anche tante soddisfazioni. Essere Società Benefit nasce innanzitutto da questa volontà di restituire valore a tutta la filiera: a chi lavora con noi, ai clienti, ai fornitori, al mondo. Il prodotto è buono non solo per come lo facciamo ma perché ci prendiamo cura dell’unica risorsa scarsa che abbiamo: la terra. Abbiamo una piccola coltivazione di grano tenero in Friuli, cerchiamo di andare verso lo spreco zero nei nostri locali. Tutte azioni legate a valori che abbiamo inserito nello statuto“
Employee Retention in chiave Benefit
C’è un tema di coerenza quando si adotta a un modello: essere Benefit vuol dire agire in un certo modo verso le comunità che abitiamo, fuori l’azienda, e dentro, rispetto alle persone con cui collaboriamo. Non si tratta solo di una decisione etica ma anche strategica: fare Benefit dentro è affrontare una delle maggiori sfide, ovvero valorizzare le persone affinché restino. È employee retention ed è una questione umana. Voi come la affrontate?
“La complessità più importante è rendere il più pulite possibile le linee di comunicazione. Quando non ti prendi il tempo per ascoltare chi lavora con te, di aiutarlo a risolvere un problema non ti puoi stupire se dopo un po’ se ne va.
Soprattutto oggi non è soltanto la soddisfazione economica che lega una persona ad un’azienda, è il fatto di sentirsi valorizzato, di stare bene, di sapere di far parte di un gruppo che ti stima.
Da due anni non ci sono persone che se ne vanno e operiamo in un settore ad alto turnover. Significa che abbiamo intercettato le leve su cui concentrare gli sforzi per far sì che le persone si sentano felici di venire al lavoro e fanno fatica a immaginarsi da un’altra parte. Questa è tra le soddisfazioni più grande”

Employee Retention attraverso il gioco
Recentemente in un libro che ho letto c’era questo passaggio: la comunicazione interna è la linfa vitale di un’organizzazione. Oltre l’organigramma, che è un po’ la fotografia, a dirci davvero se un’organizzazione è viva sono tutti quei flussi di comunicazione che insieme creano una rete neuronale e rendono l’organizzazione capace di pensare. È un po’ quello che voi avete fatto con Ilaria Magagna, cofounder TARA. Avete organizzato una riunione plenaria per aumentare la vitalità dell’organizzazione. Come?
“Ormai Ilaria è diventata un perno dei nostri momenti di aggregazione, sa rendere veramente più fluida questa comunicazione bidirezionale, facilita lo scambio con un’energia tale che chiudiamo le plenarie sempre carichi.
Ripulire la comunicazione, riuscire a rendere chiara, trasparente ed evidente la meta aziendale, far sì che il gruppo faccia propria una serie di valori ai quali ancorarsi: ecco il senso delle nostre plenarie.
Questo fa sì che tutte le scelte, tutti i progetti che si creano nel corso dell’anno siano percepiti come un qualcosa che ci appartiene senza snaturare i valori ai quali ci siamo ancorati. In questo modo si abbassa il livello di paura fisiologico nei nuovi progetti. Noi abbiamo durante l’anno diversi momenti di ascolto reciproco, alcuni sono incontri individuali, altri sono operativi, settimanali e poi abbiamo le plenarie. Si tratta delle riunioni in cui tutta l’azienda si incontra a volte su questioni tecniche, come gli obiettivi economici dell’anno, i progetti chiave, altre sono plenarie di celebrazione e riconoscimento, per guardarci alle spalle e vedere cosa abbiamo fatto. Altre volte le plenarie coinvolgono l’ecosistema per lavorare sui valori, sulle relazioni. Il lavoro con Ilaria inizia nella co-progettazione delle pleanarie in cui definiamo l’obiettivo delle giornate. Il rapporto con lei si è consolidato negli anni e rende estremamente più fluido il lavoro.
Facciamo anche giochi per aiutarci a riflettere.
Un esempio: ci ha fatto giocare con la palla. All’inizio non riuscivamo a fare pochi passaggi poi abbiamo capito come comunicare ed è cambiato tutto. Dopo il gioco c’è sempre un momento per capire cosa è successo”
Non è solo il gioco in sé, che sì ci fa tornare i bambini e quindi ci fa recuperare un clima, ma è il gioco in quanto strategico, perché ci permette di riflettere su dinamiche che altrimenti rimarrebbero nascoste. Quindi, per concludere: consiglieresti un lavoro del genere e perché?
“Certo. Noi abbiamo visto in maniera estremamente importante il cambiamento che è avvenuto dalle plenarie che facevamo in autonomia a quello che invece succede grazie alla facilitazione di Ilaria.
Il lavoro inizia con il codesign dell’incontro utile a disinnescare eventuali criticità e a rendere la riunione più rapida, 2, 4 ore in tutto, al massimo una giornata.
Ilaria con i suoi campanellini ci fa stare nei tempi e ci permette di andare nel profondo. Riesce a creare una situazione abilitante per il gruppo. Sento di non riuscire quasi più a far a meno di questo percorso”
Se l’intervista ti ha colpito, pensaci…
…se vuoi rendere la tua plenaria una occasione di retention, scrivici.
Siamo tutte orecchi, metodi e fantasia!