Non solo giusta. L’inclusione è una leva strategica per le imprese. Le organizzazioni più inclusive, secondo il World Economic Forum, ottengono profitti superiori alla media del 25% e hanno un tasso di innovazione maggiore del 20%. Eppure in Italia solo il 15% di chi lavora in azienda ritiene che la propria organizzazione promuova attivamente un clima di inclusione al lavoro. Il dato, dall’indagine BVA Doxa per Mindwork, accende un riflettore sul potenziale “value washing”: stiamo alimentando un dibattito di facciata sulla diversità in azienda?

Diversità e inclusione in azienda: di che parliamo.

La sigla, D&I, è nata negli anni 80 negli Stati Uniti con la formazione di una popolazione aziendale multietnica e un incremento del numero di donne nei posti di lavoro. L’esigenza crescente di riflettere sui temi di diversità e inclusione aziendale è collegata alla consapevolezza che le organizzazioni non sono “macchine per la produzione” ma luoghi d’espressione della creatività umana. Per le imprese, quindi, la diversità è una risorsa preziosa, abbondante in natura così come negli ecosistemi umani.

Nel concreto, diversità e inclusione sono due facce della medaglia e descrivono organizzazioni in grado di creare contesti aperti che valorizzano i talenti, i contributi e le idee di tutti e tutte, senza discriminazioni di alcun genere. Secondo le Linee Guida Diversity & Inclusion in Azienda dell’Osservatorio tematico dell’UN Global Compact Network Italia, inclusione e diversità sono interdipendenti. La diversità riguarda tutto quello che ci rende persone uniche e ineguagliabili e considera aspetti come etnia, età, orientamento sessuale fino alle caratteristiche psicologiche. L’inclusione concerne invece il riconoscimento e la valorizzazione della diversità come risorsa e la capacità di creare valore concreto attraverso la costruzione di ambienti equi e accoglienti.

Tutto chiaro, ma quindi un’organizzazione inclusiva come è?

Cultura organizzativa, diversità e inclusione.

Dal job posting inclusivo  – la pubblicazione di offerte di lavoro prive di pregiudizi – fino alla comunicazione con clienti e fornitori: adottare una cultura organizzativa inclusiva vuol dire ispirare comportamenti che incoraggiano la pluralità in ogni sua forma. Progettare pratiche non discriminatorie, quindi, è una parte – rilevante – del lavoro ed è efficace solo se pensiamo l’organizzazione come ecosistema inclusivo in cui la diversità è una risorsa e non un problema da risolvere. La natura insegna: la biodiversità è ricchezza e l’interconnessione è una legge dell’Universo.

L’inclusione come leva strategica: i dati.

La diversità, però, non è soltanto giusta. Funziona. Lo dimostrano i dati sulle organizzazioni inclusive che, stando a una mole di studi, sono anche più efficaci. Secondo il World Economic Forum, ad esempio, le organizzazioni che creano un clima di inclusione ottengono profitti superiori alla media del 25%, hanno un tasso di innovazione più elevato del 20% e hanno più capacità di individuare i rischi aziendali.

Non solo. La società di consulenza McKinsey ha indagato nella ricerca Diversity Wins la correlazione tra inclusione e performance aziendali e ha rilevato che le aziende con una maggiore diversità di genere nei team dirigenziali hanno il 25% di probabilità in più di sviluppare una redditività superiore alla media – un dato in costante crescita dal 2014.

Inclusione di genere in Italia.

Nonostante i numeri siano chiari, in Italia la creazione di ambienti lavorativi in grado di valorizzare la diversità è ancora un obiettivo da raggiungere. A partire dall’inclusione di genere. Secondo il Gender Diversity Index (GDI), lo studio dell’associazione European Women on Boards, nelle aziende del nostro paese la percentuale di donne CEO è del 3%. Un dato preoccupante che allontana gli obiettivi comunitari di rappresentanza femminile ai vertici.

Non basta aggiungere diversità.

Attenzione. Non basta aggiungere diversità per ottenere risultati. Come hanno scritto Robin Ely e David Thomas in Getting Serious About Diversity, quando le donne siedono al tavolo delle decisioni la discussione è più ricca. Ma non è sufficiente che siano in sala riunioni per ottenere benefici. In altri termini: la diversità crescente non aumenta di per sé l’efficacia di un’organizzazione, a farlo, invece, è la capacità di valorizzare la diversità per rimodellare la struttura di potere.

Le nostre organizzazioni sono pronte a farlo?

La discriminazione inizia dal colloquio di lavoro.

Nonostante i dati sull’impatto dell’inclusione nelle organizzazioni, le aziende ancora faticano a trasformare gli ambienti lavorativi in contesti davvero inclusivi. Non solo in Italia la recente crescita dell’occupazione non ha intaccato il divario di genere, ma le donne sono discriminate a partire dal colloquio di lavoro. Lo sottolinea l’Associazione per lo Sviluppo Sostenibile – ASVIS che nonostante i progressi registrati dal rapporto annuale negli indicatori sul Goal 5 (parità di genere), rileva le difficoltà nella ricerca di un impiego vissuta dalle donne come un percorso di emozioni intense e spesso negative. In particolare, nella fase di candidatura il 38% ha incontrato annunci sessisti e con riferimenti al body shaming.

Come aumentare diversità e inclusione in azienda.

Se la cultura organizzativa inclusiva è quindi un requisito per pensare l’impresa come sistema biodiverso, tre passi possono portare le organizzazioni a diventare più inclusive, innovative ed efficaci.

Pratica la leadership inclusiva.

Per usare il linguaggio del Process Work, approccio che TARA porta nelle organizzazioni per facilitare l’evoluzione, la leadership modella il campo. Cosa vuol dire? Chi ha più responsabilità e potere in un gruppo ne ispira i comportamenti. Leader che mostrano le proprie fragilità permettono alle persone dei team di farlo e di accettare la vulnerabilità. Allo stesso modo, leader in grado di valorizzare le diversità e di accogliere molteplici voci motiveranno le persone a fare lo stesso e a mostrare più apertamente le proprie attitudini, anche quelle nascoste, con un impatto positivo di arricchimento di tutto il sistema.

Fai codesign dei processi.

Il design partecipativo permette di organizzare il lavoro secondo pratiche non discriminatorie e più sostenibili nel tempo. Il codesign consiste nella progettazione corale di modelli di lavoro da sperimentare, testare e modificare. Permette di coinvolgere tutte le voci e i punti di vista e di disegnare tempi e spazi lavorativi sulle effettive esigenze di chi li vive. Non è più solo la minoranza dei vertici – CEO, manager, team leader – a decidere per tutti e tutte, portando nelle decisioni i propri bias, ma sono i team a progettare le modalità più efficaci per collaborare con una migliore distribuzione dei carichi di lavoro, un aumento del benessere psicologico e della produttività del gruppo.

Team working per l’inclusione.

Il team working – letteralmente lavoro di gruppo – consente di far emergere ostacoli nascosti che rendono più difficile la collaborazione e allo stesso tempo permette alle persone di esprimere i propri talenti. Il team working consente l’emersione delle competenze relazionali e fa dialogare i talenti: ogni persona può portare tutta se stessa sul posto di lavoro e non solo quello che ha imparato o le capacità tecniche che ha. Vuol dire includere le persone per intero e non solo la loro parte razionale nei processi di lavoro.

Infine, per dirla nell’ottica della Integral Theory, i sistemi economici e i modelli organizzativi sono lo specchio della nostra capacità di collaborare, a ogni stadio di sviluppo umano corrispondono nuove forme organizzative.

Siamo pronti e pronte al prossimo livello di organizzazioni inclusive, creative ed efficaci?

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