Lavoriamo spesso insieme: in ufficio, da remoto, per diverse ore al giorno più giorni alla settimana. Per mesi, persino per anni. A volte lo facciamo bene, con focus e motivazione, altre meno, con più fatica.
Anche se lavorare con altre persone occupa gran parte delle nostre vite di adulti, poche volte ci fermiamo per chiederci davvero come va.
Proviamo a chiederci: quanto spesso cerchiamo di capire come stiamo, se funziona e come potrebbe funzionare meglio il nostro “fare insieme”. Dedicare tempo e attenzione al modo in cui collaboriamo può avere un impatto grande sulla qualità dei risultati che raggiungiamo come gruppo e sul nostro benessere ma spesso la scelta di fermarsi a guardare il team appare come una perdita di produzione, di ore e di energie.
E se invece fosse esattamente il contrario?
E se proprio prenderci il tempo per “vedere” come va ci aiutasse a superare vecchie dinamiche che appesantiscono e rallentano la collaborazione?
Se fermarci a guardare il team servisse a ripartire meglio, con più chiarezza e velocità?
Mi occupo di comunicazione, curo da un anno un podcast sulla facilitazione e solo sporcandomi le mani di pennarelli l’ho capito: la facilitazione è un propellente straordinario per i team. Ma bisogna provarla per sentire l’effetto che fa.
Nella mia esperienza con TARA ho visto che la facilitazione sistemica in modo immediato, come una sorpresa inattesa, permette di vedere l’impresa dall’alto.
Ci consente di capire come sta e dove va.
La facilitazione ci aiuta ad avere quella che è un po’ la pietra filosofale di una impresa: una strategia più chiara.
Mi spiego meglio, con una metafora e una storia di pochi giorni fa.
L’impresa è come una barca che naviga il mare grande e mosso del mondo.
Lo fa con uno scopo, ossia con una direzione e una destinazione, grazie a un gruppo di persone, ciascuna con talenti e ruoli che si mescolano, e attraverso processi che permettono alla barca di proseguire il viaggio.
Senza una direzione la barca non va da nessuna parte.
Senza persone che comunicano e lavorano bene insieme la barca resta in balia delle onde.
Senza processi efficaci la barca rischia di affondare.
Noi siamo parte dell’equipaggio.
CEO, manager, personale: nessuno è solo.
Anche chi è al timone può restare ad esplorare l’orizzonte grazie al lavoro dell’equipaggio.
Se non adottiamo una prospettiva dall’alto ma restiamo invischiati nell’emergenza, nelle dinamiche di tutti i giorni, se non ci prendiamo un tempo per guardare cosa sta accadendo nella nostra barca, non possiamo fare bene il nostro lavoro.
Non lo gestiamo, siamo gestiti.
Non lo progettiamo, lo subiamo.
La facilitazione sistemica, invece, ci permette di guardare dall’alto.
Vista da qui l’impresa ha la forma di un Triangolo: scopo, persone e processi sono i vertici. Se sono in equilibrio funziona altrimenti si rovescia.
Se qualcosa non va è importante capire in quale vertice si trova l’ostacolo per immaginare insieme come superarlo.
E attenzione: non stiamo parlando di astrazioni, ma di vera vita di team!
Non sembra?
Vi racconto una piccola storia, recente, quella di una mattina di facilitazione sistemica con Ilaria e il team di Puglia Cycle Tour.
Il team è arrivato con un po’ di tensioni: alcune più palesi, altre nascoste ma sul punto di esplodere. Un semplice gioco ci ha permesso di farle emergere un po’, giusto il tempo di fare capolino senza scoppiare: questo è il compito di chi facilita, lasciare spazio all’espressione delle emozioni e dei punti di vista ma contenendoli, dando loro direzione e forma. Sedersi in cerchio e comunicare non equivale a uno sfogo collettivo: è invece un modo per aiutare le persone a trovare un canale di connessione, ma per evitare il caos è fondamentale sapere come fare.
Così il campo si è (un po’) liberato dalle emergenze e abbiamo cominciato a lavorare partendo da una delle risorse più abbondanti nell’impresa (intendo: in ogni impresa): l’intelligenza del team. Ovvero: le capacità, i poteri, le competenze delle persone del gruppo. Se siamo insieme, per parafrasare Riccardo Cocciante, ci sarà un perché.
Abbiamo iniziato a esplorare i talenti reciproci.
Sotto gli ulivi le persone si sono dette quello che dietro le scrivanie restava nascosto: hanno scambiato uno sguardo apprezzativo sui poteri propri e altrui per scoprire con naturalezza che gli uni non possono fare a meno degli altri.
Solo dopo abbiamo lavorato affrontando in un gioco una sfida comune: giocare con un obiettivo condiviso ci mostra che squadra siamo.
Il gioco libera le energie, fa venire fuori le capacità e le dinamiche con immediatezza, toglie i filtri.
Così le frasi e i comportamenti spontanei sono stati la cartina di tornasole delle dinamiche di team.
La loro analisi aperta e sincera, guidata dalla facilitatrice, ci ha portato all’ultima parte della mattina di facilitazione: il momento in cui abbiamo visto con il Triangolo di TARA dove sono gli ostacoli. Lo abbiamo disegnato in terra camminandoci intorno e sopra: scopo, persone, processi. Dove sono i punti di forza di Puglia Cycle Tour? E quelli di debolezza? Li abbiamo visti all’opera, ora è più facile organizzarli in una mappa e discuterne con più calma e obiettività. Parlando dei temi e non delle persone.
Non è finita qui, ovviamente: le informazioni preziose raccolte e le emozioni vissute sono il punto di partenza per progettare le soluzioni.
Non sarebbe stato possibile trovarle prima, sedersi a tavolino e semplicemente pensarle. Serve un passo in più, serve assumere la prospettiva dall’alto, serve vedere quali capacità e emozioni sono in circolo, serve capire di cosa siamo capaci.
Non possiamo farlo in solitudine.
Serve il team.
E serve un po’ di facilitazione sistemica.