I Panificatori Agricoli Urbani – PAU sono un movimento nato per rafforzare il lavoro degli attori della panificazione contemporanea a partire da un’idea: il mondo del pane cambia, il pane cambia il mondo. In questa rivoluzione a suon di grani i PAU incontrano TRA e con Ilaria, cofounder, intraprendono un percorso per l’evoluzione del team. Per decidere i passi da fare insieme sperimentano la facilitazione. I risultati? Li racconta Francesca Casci Ceccacci, del panificio Pandefrà e attivista PAU.
Federica
Il pane è fatto di persone, ecco un concetto bellissimo che ispira il manifesto dei PAU, i panificatori agricoli urbani, un movimento nato nel 2018 per fare rete e per rafforzare il lavoro dei panificatori contemporanei. I PAU ci sono vicini, condividiamo lo sguardo. Per i PAU, come per Tara, lavoro è persone tutte intere. Significa che nel lavoro e nel pane che facciamo portiamo chi siamo, non solo il ruolo che abbiamo. Ma i PAU ci sono vicini anche perché stanno affrontando un percorso di team working con noi, nello specifico con Ilaria. Ce ne parla Francesca Casci Ceccacci del panificio Pandefrà di Senigallia, attiva nella rete dei PAU. Ciao Francesca e grazie del tuo tempo.
Francesca
Ciao Federica, ciao a tutti, grazie di avermi contattato.
Sono molto felice di parlarvi di questa esperienza bellissima che è stata il percorso con Ilaria.
Federica
Partiamo dalla fine, proviamo a capovolgere il racconto. Vorrei infatti chiederti subito quali risultati state raggiungendo con il team working, il lavoro sul gruppo. Inizio da quella che di solito è l’ultima domanda per una ragione: a volte fatichiamo come Tara a raccontare cosa significa facilitazione e perché fa bene alle organizzazioni. Ma se non sciogliamo questo punto, questo nodo, tutto quello che diciamo può sembrare bello ma poco utile. Per noi è esattamente il contrario.
Il lavoro con i gruppi è bello proprio perché prima di tutto è utile.
Se lo dico io ovviamente gioco in casa, vale un po’ poco. Quindi lo chiedo a te: in che modo il lavoro sul gruppo è stato utile per voi e quali risultati ha prodotto nel concreto?
Francesca
Per noi, come come hai detto, il pane è fatto di persone. La centralità delle persone è proprio la chiave. L’esperienza del percorso con Ilaria è partita da qui, è stata per noi prima di tutto un consolidamento della fiducia tra le persone: eravamo e siamo amici, crediamo negli stessi valori, ma siamo lontani. Avevamo bisogno di trovarci insieme in cerchio e di guardarci in faccia, di ripercorrere il nostro percorso fino a quel momento. Il modello di lavoro orizzontale sperimentato ci ha portato a un atto molto semplice ma molto difficile nella realtà dei gruppi organizzati o molto grandi.
siamo arrivati tutti insieme a prendere una decisione, a capire quale era il passaggio necessario per il nostro movimento.
Costituirci in associazione. All’inizio ci è sembrato molto difficile, avevamo un sacco di paure, ma decidere è stato diretto e anche emozionante.
Federica
Quello che dici mette insieme due livelli. Prima di tutto, la facilitazione serve per prendere decisioni importanti, quindi agisce su un piano molto concreto, di risultato. Poi, però, c’è anche un livello relazionale. Tu hai detto: siamo lontani. La vostra, infatti, è una rete nazionale, venite da diverse parti d’Italia, ma riuscite ad essere un noi, un gruppo coeso attraverso la fiducia. Diventare un noi, però, non è scontato, non è banale. I team, i gruppi, i movimenti possono infatti fare le cose insieme ma senza sentirsi parte di una storia comune. Questo però nel tempo può produrre un senso di disamore rispetto al gruppo e di distacco con una perdita per le organizzazioni in termini di creatività, di responsabilità, ma anche di talento. Il tema è diffuso, anche se non sempre avvertito. Prendiamo la ricerca recente di Gallup, società di sondaggi statunitense secondo cui solo il 4% degli italiani si sente coinvolto in quello che fa e siamo gli ultimi al mondo per senso di coinvolgimento. Questa fragilità, ovviamente, si manifesta in comportamenti, modi di fare, frasi e azioni quotidiane. Sono tutti sintomi da cogliere per capire se qualcosa si è inceppato nel gruppo, se qualcosa non va. In una rete come la vostra, nei PAU, che cosa avete colto? Quali sono stati segnali che vi hanno fatto decidere: domani mattina alziamo il telefono e chiamiamo Ilaria?
Francesca
Allora per spiegarti cosa è successo faccio un passo indietro. Il movimento Pau è nato dalla spontaneità, è stato bellissimo proprio perché c’è stata una chiamata spontanea dei tre che noi chiamiamo al nostro interno I proto-PAU: Davide Longoni, Pasquale Polito e Matteo Piffer, rispettivamente del panificio Longoni, del Moderno e del Forno Brisa. Sostanzialmente hanno detto: credete che attraverso il pane possiamo cambiare il mondo? Credete in tutta una serie di valori che riguardano non solo il prodotto ma anche l’ambiente che ci circonda? La risposta è stata sì ed è stata enorme, tanto da farci trovare, appunto, in maniera spontanea in novanta. Quindi la prima fase dei PAU è stata informale e l’enfasi ci ha portato a fare un passo molto, molto concreto: ci siamo trovati un giorno nel 2020 per scrivere nero su bianco i nostri valori, il nostro manifesto. Quello è stato un atto di consapevolezza condivisa: eravamo tutti insieme, ci guardavamo in faccia, le emozioni si sentivano.
Il 2021 è stato un anno di distacco e di isolamento per tutti e quindi anche per i PAU che purtroppo si sono ridotti a una chat in cui ognuno in maniera sporadica, condivideva sensazioni, raccontava situazioni di difficoltà.
Quando abbiamo ricominciato a parlare delle azioni successive, concrete, necessarie al movimento per poter andare verso la strada del cambiamento che ci eravamo proposti con il manifesto sono cominciate le scissioni, le defezioni, il legame di fiducia si è allentato. Ma è nella crisi che l’uomo trova le soluzioni. All’inizio di quest’anno, nel 2022 ci siamo trovati in otto irriducibili, ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto: crediamo nella potenza della rete. Il cambiamento che vogliamo è possibile solo attraverso la rete. Dovevamo trovare uno strumento per riportare a tutti la fiducia nei confronti della rete. Così abbiamo incontrato Tara e abbiamo chiamato Ilaria.
Federica
È nei momenti di crisi che riusciamo a trovare una forza perché vengono fuori le domande che evitiamo di farci. Invece, come ha detto una persona durante un incontro di TARA, è in tempo di pace che bisogna parlare della guerra. Anche così ci prendiamo cura del gruppo e sviluppiamo una sensibilità che i PAU hanno: un’attenzione naturale alla pluralità che voi raccontate in modo molto bello. I PAU credono nella biodiversità non solo dei cereali ma anche come capacità di un gruppo fatto di persone diverse di evolvere insieme. Mi puoi spiegare meglio?
Francesca
Partiamo dal concetto di evoluzione. Per tanto tempo abbiamo pensato che sopravvivere significasse salvarsi sconfiggendo gli altri. Ecco, noi crediamo che bisogna rivedere questo concetto e ci ispiriamo alla biodiversità della natura. Ci ispiriamo a quello che dicono Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, due genetisti che hanno dedicato alla biodiversità la loro vita.
La diversità è la fonte della stabilità dei sistemi.
Che cosa vuol dire? Lo spiegano partendo dai cereali. Hanno buttato nel campo grani di specie diverse e lo hanno fatto per vedere come si adattassero all’ambiente. Hanno visto che le specie che si andavano a riprodurre erano specie che avevano collaborato tra di loro, avevano condiviso le loro caratteristiche e il territorio. Nascevano specie in grado di sopravvivere alle condizioni più anguste. Ecco, questa per noi è la biodiversità. Crediamo che nella collaborazione tra persone diverse ci sia la sopravvivenza. Sembrano delle belle parole ma nella pratica di tutti i giorni quando metti in campo questa dea, anche solo nel tuo laboratorio, in un team di persone, vedi quello che accade: nascono soluzioni alle quali da solo tu non avresti mai pensato.
L’intelligenza collettiva ci porta a trovare le soluzioni e superare anche i momenti di difficoltà.
Federica
Mi colpisce quello che dici perché è molto vicino al motivo per cui nasce Tara e per cui anche noi siamo insieme.
La fiducia nella facilitazione è fiducia nella biodiversità, nell’intelligenza collettiva dei gruppi.
Come team abbiamo una capacità di pensare moltiplicata che nasce proprio dal mettere insieme sensibilità, competenze, differenze anche profonde e umane. L’intelligenza collettiva non solo è preziosa, bella da raccontare, ma è potente, cioè produce risultati e aumenta la capacità di trovare soluzioni, di affrontare la complessità.
Non sempre però siamo abituati ad allenare l’intelligenza collettiva e anzi, guardiamo le differenze e le diversità con sospetto, se non addirittura con paura. Il lavoro sul gruppo, invece ci aiuta a guardare la differenza diversamente: c’è qualcosa che io non so, c’è qualcosa che io non so fare, c’è qualcosa che tu sai e che tu sai fare. C’è qualcosa di ancora più grande che sappiamo e che sappiamo fare insieme. Rispetto a questo, nel lavoro con Ilaria, c’è stata qualche attività che ti ha sorpreso proprio per la capacità di aiutare il gruppo a diventare una squadra, un noi intelligente dove le abilità di ognuno e di ognuna possono mostrarsi e anche splendere?
Francesca
Premetto che tutte le attività che abbiamo fatto sono state veramente emozionanti e arricchenti. Per me è stato stupefacente vedere che si possono decidere e fare un sacco di cose tutti insieme in così poco tempo e con così tanto valore. A colpirmi di più tra le attività è stata quella sulla progettazione delle azioni concrete. Abbiamo fatto un gioco per step dove tutti hanno messo in campo i propri interessi, le attitudini, le capacità pratiche. Poi maniera spontanea, fisicamente, ci siamo avvicinati alle idee più interessanti e abbiamo costruito un progetto. Alla fine del percorso ci siamo trovati con quattro progetti meravigliosi, con una potenza enorme di realizzazione. Se avessimo dovuto decidere in un’assemblea mi viene in mente che avremmo potuto metterci molto più tempo.
Federica
Da quello che dici vengono fuori alcuni aspetti, ossia l’uso del corpo, dello spazio e del gioco, tutte modalità che ci permettono di progettare qualcosa che se affrontiamo soltanto in astratto può sembrare molto più complicato. Ultimamente ho letto un libro, “La Mente Estesa” secondo cui la nostra mente non funziona solo per astrazioni ma attraverso l’organizzazione dello spazio e tramite la fisicità: è anche così che riusciamo ad esprimere le idee e a comunicarle, le facciamo vedere con più facilità.
Francesca
Assolutamente. Ho provato stupore perché non avendo mai partecipato prima a un’esperienza del genere, ho notato come io mi sia trovata fisicamente di fianco all’idea che mi piaceva di più, ho alzato la testa e ho visto che c’erano delle persone a cui voglio un bene enorme con cui si può solo costruire qualcosa di buono. Ho detto: siamo siamo sulla strada giusta.
Federica
Tra i punti del vostro manifesto c’è un passaggio molto bello, molto emozionante, che vorrei portare alla fine dell’intervista come un piccolo dono, come uno stimolo da lasciare a chi ascolta per alzare la testa dal quotidiano e guardare oltre.
Voi scrivete: crediamo in un futuro artigiano. Che cosa significa? Come può essere il futuro comune?
Francesca
Ci ispiriamo a Sennet, sociologo.
le relazioni appassionate con i colleghi siano uno degli elementi fondamentali del modello artigianale.
Noi, infatti, nel nostro manifesto diciamo, i nostri laboratori hanno pareti trasparenti.
A differenza dei maestri che hanno conservato ricette segrete all’interno dei laboratori, noi crediamo che se i panificatori si mettono insieme diventa grande l’impatto sul mondo e sul pianeta, sul modello economico. Si rinuncia al segreto per creare cambiamento attraverso la condivisione dei saperi. L’aumento della trasparenza porterà a un arricchimento per ciascuno di noi, per il gruppo, per l’ambiente sia economico sia naturale.